Vita da Strega: Maurizio Guzzetti

In questo quinto appuntamento con le vicende legate al 28° Gruppo “Streghe” abbiamo scambiato due chiacchiere con il Comandante Maurizio Guzzetti.

Un incontro tanto atteso qui in The Aviation per una strega “prestata” alle Frecce Tricolori; ebbene sì: strega lo si rimane per sempre, anche dopo aver indossato la tuta azzurra del Team invidiato da tutto il mondo.

Lasciamo quindi la parola a Maurizio, nel ripercorrere la sua carriera da pilota militare e civile.

<< Sono nato a Venegono Inferiore e quando ero piccolo, in culla, venivo svegliato dal 326 del Com.te Carestiato, allora collaudatore Aermacchi. 

                                                      Guido Carestiato - Autore sconosciuto- Scansione da copia cartacea collezione The Aviation
Guido Carestiato - Autore sconosciuto- Scansione da copia cartacea collezione The Aviation

Da bambino andavo spesso all’aeroporto in bicicletta. Mi mettevo sul praticello e venivo regolarmente cacciato via da quelli dell’AeroClub. Io però mica ci andavo per vedere loro, ma i 326 della Macchi. Allora mi nascondevo dietro l’hangar dei paracadutisti e Carestiato qualche volta, vedendomi lì, mi chiamava in linea di volo e mi faceva sedere all’interno del velivolo. Una volta persino nella versione K, con cannoni e tutto. Me lo ricordo come se fosse adesso.

Un giorno andai al comune di Venegono per fare la carta d’identità. Avevo 18 anni e stavo finendo il liceo scientifico. Non avevo sogni, né prospettive, ma quel giorno vidi un poster per il concorso in Accademia Aeronautica. Lo ricordo bene: erano quattro F-104 in volo, si vedeva solo la parte anteriore, con i piloti in bella vista con maschere e visiere dei caschi abbassate.     Ricordo di aver pensato: “Che figata, per fare quel lavoro lì bisogna avere le palle d’acciaio”.

Mancava un mese alla scadenza del concorso e, arrivato a casa, scrissi la raccomandata e la spedii. Era il 1978 e il 21 settembre entrai in Accademia con il corso Urano III.

Da quel momento successe tutto in maniera “automatica”. Non che non mi sia costato sacrifici, ma non dovetti mai “sgomitare” per realizzare ciò che volevo.

A Latina cominciammo la selezione sul Siai SF-260 e mi divertii moltissimo, nonostante la metà dei miei compagni di Corso non fosse riuscita a passarla. Io non avevo mai volato, nemmeno come passeggero e il primo volo mi ritrovai già con l’istruttore che faceva acrobazia. Devo dire che dopo un paio di settimane lui mi prese da parte e mi disse di smettere di prenderlo per i fondelli: “Tu hai già fatto un corso di volo da qualche parte e mi stai dicendo cazzate, ammettilo e io non lo dirò a nessuno”. Io giuravo e spergiuravo di non aver mai volato, ma lui mi guardava sempre di traverso.

Venni a sapere, molti anni dopo, da mio padre che alla cerimonia di consegna delle aquile lui gli aveva detto: “Il suo ragazzo finirà alle Frecce Tricolori”. Mio padre me lo tenne segreto per 20 anni. 

Nel 1982 mi ritrovai in Canada con altri nove compagni di Corso in un programma di scambio per l’addestramento. Ci rimasi due anni, volando dapprima su un aeroplano ad elica (Beechcraft CT-134 Musketeer) e poi sul jet (Canadair CT-114 Tutor). Anche lì mi divertii moltissimo e, al rientro in Italia, gli otto di noi che passarono il corso vennero inviati ad Amendola, per il corso Basico-Avanzato sul G-91T.

Formazioni acrobatiche come se piovesse, poligoni aria-aria e aria-suolo: un periodo entusiasmante.

Purtroppo l’8 febbraio 1984 il povero Dino Facchinelli e il suo istruttore Magg. Candotti caddero in finale a Decimomannu, proprio di fronte a me che ero in formazione con loro. Dino fu il primo compagno del mio Corso che ci lasciò.

In primavera venni inviato a Grosseto per il corso sul 104. L’aereo era impegnativo, ma un vero missile. Richiedeva processi mentali veloci e ricordo che al primo volo mi sembrava di essere ancora in testata pista e invece ero già a 15.000 piedi, con l’istruttore dietro che strillava perché “ero così indietro che non mi scottavo nemmeno con il fumo”. 

Dopo poco ci presi la mano e chiesi di poter fare il “sarchiapone”, vale a dire il bombardiere (gli intercettori son chiamati “sceriffi”). Mi accontentarono e fui inviato al 3° Stormo, 28° Gruppo (Streghe) a Villafranca.

Ci arrivai ad agosto 1984 e, a bordo della mia Fiat 132, mi avvicinavo al casello di Sommacampagna quando una coppia di 104, con il loro ululato inconfondibile, mi sorvolò mentre andava al break basso. Lì ebbi una delle più grandi iniezioni di entusiasmo della mia vita e, pochi minuti dopo, varcavo il cancello del Terzo Stormo.

L’addestramento cominciò subito ed ebbi come istruttori Piloti espertissimi, del calibro di Alberto Bosi e Maurizio Folchi. Assorbivo conoscenza come una spugna e loro divennero immediatamente i miei idoli.

L’attività era incredibile: il Gruppo aveva più aerei efficienti che Piloti e si volava due volte al giorno. Basse quote in tutta Italia, a 450 Kts e sotto i 500 piedi.

Ricordo in particolare una missione addestrativa: dovevo volare con il mio Chase, Ten.Col. Leandri, allora Comandante delle Streghe. Naturalmente tenevo a fare bella figura ed ero piuttosto “carico”.

Decollammo a 7 secondi e virammo subito a sinistra per iniziare la nostra bassa quota. Il target era il radar militare a nord di San Donà. La bassa quota veniva effettuata sulla cartina 1:500.000, a 450 Kts. La procedura richiedeva che, una volta raggiunto l’Initial Point, si desse Full AB per accelerare in fretta a 530 Kts. Contemporaneamente bisognava virare verso la nuova prua e scattare il contasecondi. Bisognava inoltre passare alla cartina 1:250.000. Io riposi la 500.000 sul lato del cruscotto, ma quando presi la 250.000 questa mi cadde per terra. L’abitacolo era molto stretto ed io faticai non poco per riprenderla. Quando l’avevo ormai in mano mi venne un crampo tremendo alla coscia sinistra. Il tutto durò pochi secondi, ma sentii per radio la voce del Chase, che mi urlava di togliere l’AB perché ero quasi supersonico. Tolsi motore, guardai il contasecondi, ma ero già 30 sec. oltre il target. La prua era fuori di almeno 15 gradi. Inutile dire che del target non vidi nemmeno l’ombra e che al ritorno mi presi un bel cazziatone.

Non menzionai nemmeno cartina, crampo ecc. perché in Accademia il “giustificarsi puerilmente” comportava una punizione aggiuntiva.

Divenni Combat Ready ed immediatamente dopo ci ritrovammo in Tac-Eval. 

Ricordo che in autunno e inverno si volava in VFR Speciale: visibilità 1.500 metri e via. Il problema era che a 450 Kts con 1.500 m non si vedeva nulla davanti: si navigava in dead reckoning, vale a dire con bussola, orologio e cartina. Eppure si era in grado di arrivare sull’obiettivo entro più o meno 5 secondi dal TOT. Cose adesso impensabili senza un’infinità di computer.

Dopo meno di un anno arrivò al Gruppo Lino Gorga, che veniva dalle Frecce Tricolori.    Ricordo che in sala vestizione guardavo con l’acquolina in bocca il suo casco PAN, appeso in mezzo agli altri. Nell’autunno 1985 lui mi prese da parte, al Circolo, e mi chiese se non mi sarebbe piaciuto andare alla Pattuglia. Io quasi mi misi a ridere, ma lui era serissimo. Venne fuori che il T.Col Raineri, che sarebbe diventato Comandante delle Frecce Tricolori ed era stato mio istruttore su 104 a Grosseto, aveva chiesto a Lino di sondare il terreno.

A fine anno mi arrivò il telegramma: ricordo che quel giorno di telegrammi ne arrivarono due: uno per me alla PAN e l’altro per Maurizio Cheli alla Sperimentale. 

Poco dopo il povero Lino perì in un incidente nella Laguna di Marano ed io partii per Rivolto.

Arrivato lì mi ritrovai “in nazionale”, di fronte a mostri sacri che avevo visto solo sulle figurine. Gente come Mario Naldini, Fabio Brovedani, Giampietro Gropplero, Ivo Nutarelli, GB Molinaro, Piergiorgio Accorsi, ecc…. ed io ero lì, in mezzo a loro.

Appena arrivato, il Ten.Col. Bernardis, Comandante di Gruppo, mi fece accomodare nel suo ufficio. Dopo qualche parola di circostanza mi diede il Dash-One del 339 e mi disse di studiarmelo. Non c’avevo mai volato e gli chiesi quanto tempo avessi per studiarlo, ma la risposta mi raggelò: “Il primo volo lo facciamo domattina”. Inutile dire che passai la nottata in bianco.

Devo dire che la bassa quota andò benone, visto che la si volava a 250 Kts invece dei 450 a cui ero abituato. Mantenevo religiosamente i 500 piedi previsti, per non far la figura dello “sborone” scendendo troppo. Quando rientrammo e fummo in vista del campo lui mi disse: “Adesso facciamo un po’ di acrobazia”. Io chiesi a che quota dovessi salire (ai reparti bisognava essere sopra i 5.000 ft), ma lui mi disse di scendere a 100 ft. Poi mi disse di fare un looping. Io lo feci, chiudendolo a 200ft e mi sembrava di essere raso terra. Lui mi cazziò perché: “Se lo inizi a 100 lo devi finire a 100”. Lì capii subito l’antifona e seppi che mi sarei divertito moltissimo.

I primi voli si facevano in ala a un capocoppia, con un pilota esperto seduto dietro. In Pattuglia un pilota sinistro non vola mai a destra e viceversa. Questo perché s’instaurano automatismi che potrebbero essere deleteri se si cambiasse lato. Io mi addestravo da Pony 7, quindi ero a sinistra. Man mano, si volava in formazioni sempre più pesanti, fino a che non si faceva il primo “volo grande”, cioè a formazione completa. 

Ricordo che una volta il grande Massimino Montanari, che era in biga, all’inizio di un tonneau sinistro mi disse con il suo accento romagnolo: “Sette stringi 10 centimetri”. Io pensai che mi stesse prendendo per i fondelli e strinsi un pochino. Durante il debriefing a video mi accorsi che all’inizio del tonneau sinistro ero un filo largo. Dopo la correzione, invece, ero a posto.

Si sudava come cani per tenere il parametro e fare le correzioni giuste, ma in mezzo a quei Piloti non era concesso sfigurare, quindi l’impegno era sempre massimo.

Nel 1988 divenni secondo gregario sinistro, Pony 4.

A Ramstein fui sfiorato da Ivo (Pony 10), che si portò via Giorgio Alessio (Pony 2) e Mario Naldini (Pony1). La settimana seguente presi allora la posizione di Pony 2 e, dopo l’altro tremendo incidente di Paolo Scoponi, il nuovo solista in addestramento, fu deciso che il prossimo solista sarei stato io.

Non era rimasto più nessuno che potesse addestrarmi, quindi dovetti studiare tutto il programma ex novo, provando e riprovando ogni manovra con parametri diversi fino a che non individuavo quelli giusti. Fu dura, anche perché avevo addosso gli occhi di tutta l’Aeronautica ed ero conscio che un nuovo incidente avrebbe significato l’eliminazione della figura del solista, se non la chiusura della PAN.

Ce la feci. 

Nel 1992 fu il momento di lasciare la PAN e scelsi di andare a Geilenkirchen, sull’AWACS. Dopo 6 mesi fui promosso Comandante e dopo altri 6 mesi Istruttore ed Esaminatore. Purtroppo in quel periodo ci fu la “missione di pace” nella ex Jugoslavia. Volai un infinito numero di sortite sui Balcani e finii la mia missione in Germania nell’estate del 1995.

Un paio di settimane prima del rientro in Italia mi fu comunicato che sarei stato trasferito a Pratica di Mare. Io avevo chiesto di tornare a fare il “sarchiapone” nel Nord Italia a Rivolto, Istrana o Villafranca. Dopotutto era un lavoro che avevo già fatto in precedenza. Detti comunque per scontato che a Pratica di Mare sarei stato utilizzato quale istruttore sul B707 Tanker, che era in fase di acquisizione in AM. All’ultimo minuto, con mia grande costernazione, seppi che mi avevano destinato al gruppo Guerra Elettronica, sul PD808. Mi recai presso lo Stato Maggiore III Reparto e chiesi chi fosse il responsabile di tale decisione: inviare un Istruttore di B707 sul PD808. Mi risposero in malo modo e lì decisi che la mia avventura aeronautica era finita.  

Tornai a Pratica di Mare e, per 2 mesi, continuai ad entrare con il Pass Visitatore. L’allora Comandante di Stormo voleva obbligarmi a iniziare l’addestramento sul Piaggio, ma io non ne volevo sapere. Per disperazione m’inviò alla Scuola di Guerra a Firenze, visto che ero in avanzamento da T.Col. a Colonnello.

Quando ero entrato in Accademia avevo firmato una ferma obbligatoria di 12 anni, a garanzia dei costi del mio addestramento. La cosa era più che giusta, ma dopo oltre 18 anni in AM me ne volevo andare e ne avevo ogni diritto.

L’AM rifiutò le mie dimissioni e dovetti scatenare una vera guerra per andarmene. Fui finanche definito un “obiettore di coscienza”, semplicemente perché usavo il mio cervello: se vengo mandato in guerra magari ci vado, ma se vengo preso per i fondelli e mi mandano in “missione di pace” con le bombe sui travetti allora non ci sto. Basti pensare che al T.Col Bellini, abbattuto in Iraq con il suo Tornado, non è mai stato riconosciuto lo status di prigioniero di guerra perché lui non era in guerra, ma in “missione di pace”. La Costituzione italiana (Art. 11) “Ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”. Cosa ci facevamo noi in Jugoslavia? Cosa ci facevamo in Iraq? E in Afghanistan? Ebbene, visto che ho un cervello, sono in grado di decidere a quali ordini conformarmi e a quali no. Le parole “stavo solo eseguendo gli ordini” non fanno per me.

Il fatto che mi furono rifiutate le dimissioni per oltre 6 mesi mi costrinse a lavorare come imbianchino/verniciatore per mantenere la famiglia, ma lo feci di buon grado.

Finalmente, nel giugno 1996, fui assunto da Air Europe. Naturalmente, nonostante fossi già Comandante e Istruttore sul B707, fui assunto come Secondo Ufficiale sul B767 (2 strisce).

Imparai un sacco di cose, anche se spesso ero trattato con sufficienza da piloti molto meno esperti di me. Alcuni mi facevano fare il “ragazzo di bottega”: prendimi il bollettino di Keflavik, Gander e Saint John, guardandomi dall’alto in basso. Io me ne fregavo, ma dentro di me ridevo come un matto quando poi facevano qualche cazzata. Il primo volo sul 767 lo feci con il Comandante Saletta. Uomo espertissimo, capace e di una modestia e simpatia uniche. Fece lui la tratta da Malpensa a Santo Domingo e, il giorno successivo, toccava a me volare. Decollammo in direzione Ovest e fummo autorizzati a virare a sinistra subito dopo il decollo. Io non me lo feci ripetere due volte e, intorno ai 200 piedi, virai brusco e con trenta gradi di banco. Lui non disse nulla ma, quando livellammo a 35.000 piedi, con il suo accento romano e quasi sottovoce, come se avesse paura di urtarmi, mi disse: “Vedi, qui non semo sui caccia, qui c’avemo la gente de dietro, questi se pijano paura”.

Imparai subito la lezione e da quel momento cominciai a volare un liner e non un caccia.    Dopo nemmeno due anni fui nominato Comandante. Il corso comando durava 6 mesi ed era assai impegnativo: alla fine il Direttore Operazioni Volo, Comandante Giancarlo Tedeschi, mi convocò per congratularsi e per darmi i gradi da Comandante. Mi disse che mi avrebbe concesso un paio di settimane di ferie per riprendermi dalle fatiche del corso e che per i 6 mesi di prova mi sarebbero stati assegnati voli di routine, su destinazioni alle quali ero già abituato. Io tornai a casa felice ma, il giorno dopo, una telefonata dell’ufficio turni interruppe le mie ferie: “Devi partire immediatamente con Air France per Dakar, un Comandante si è ammalato e lo devi sostituire”. A quei tempi Air Europe aveva un contratto con Air Afrique e facevamo voli per loro. Per farla breve, il mio primissimo volo da Comandante fu una Dakar-New York. Mi ritrovai di notte sopra JFK, dove non ero mai stato e mi fu assegnata una Canarsie Arrival, una sorta di procedura a vista di cui avevo solo sentito parlare con terrore da colleghi. Tutto andò bene e venni “svezzato” in questo modo.

Nel 1999 fui trasferito sul B777. A quei tempi era lo stato dell’arte e la macchina mi piacque moltissimo. Purtroppo dopo un paio d’anni sopravvenne Volare e dopo un altro paio d’anni fini tutto. 

Io, dopo alcuni mesi di disoccupazione, ero riuscito a trasferirmi in Blue Panorama: lì, il 16 luglio 2004 ebbi un serio incidente.

Partii con un B767-300 da Malpensa alla volta di Fiumicino e poi, dopo una sosta di un paio d’ore, ripartimmo per Havana. L’aereo era al massimo peso strutturale, 186 tonnellate, con 287 passeggeri e 63 tonnellate di carburante. Giornata molto calda, che non ci permetteva il decollo per pista 25. Optammo quindi per la 16R. Il vento era da 270 gradi a una dozzina di nodi. Il Primo Ufficiale era un ragazzo belga con poche ore sulle spalle, anche se molto bravo. Noi non lo sapevamo, ma un tubo del carburante ad alta pressione nel motore destro (motore nuovo) si era rotto e, durante il rullaggio, circa 700 kg di kerosene si erano riversati nella nacella. Io avrei dovuto essere Pilot Flying ma, durante il briefing pre-volo, scoprii che il Primo Ufficiale non aveva mai effettuato un decollo con il B767 a pieno carico; gli offrii quindi la possibilità di volare lui la tratta per fare esperienza, dopotutto ero istruttore.

Durante il decollo, con i motori a pieno regime, la pressione del carburante aumentò e con essa la perdita di kerosene, che venne naturalmente nebulizzato. Quattro nodi prima della V1 (velocità calcolata prima del decollo e oltre la quale non è più possibile fermarsi sulla pista rimanente) vi fu una forte esplosione e un’indicazione di fuoco al motore destro. In teoria se avessi interrotto il decollo in quel momento sarei molto probabilmente riuscito a fermarmi in pista, ma il vento veniva da destra e il motore in fiamme era quello destro. Ciò avrebbe portato le fiamme e il fumo verso la cabina passeggeri, esponendoli a essi per tutta la durata della decelerazione e per il tempo necessario ai Vigili del Fuoco a raggiungerci e a cominciare a spegnere l’incendio. Sarebbe morta molta gente.

Decisi quindi di continuare il decollo: effettuammo la procedura per spegnere l’incendio ma, nonostante avessimo scaricato entrambi gli estintori nel motore, l’incendio continuò: l’esplosione aveva causato danni tali che il gas estinguente usciva dai buchi invece di agire sulle fiamme. Lì capii che bisognava sbrigarsi: in media, su un aereo un incendio non contenibile ci lascia una quindicina di minuti di vita. Presi quindi i comandi ed effettuai un “cappio”, vale a dire atterrai sulla stessa pista dalla quale eravamo partiti, ma in direzione opposta (pista 34L), per far sì che il vento da ovest allontanasse le fiamme dalla cabina. Il problema era che pesavamo 186 tonnellate e il massimo peso consentito per l’atterraggio era 145 tonnellate. La soluzione sarebbe stata quella di scaricare carburante, ma non ne avevamo il tempo e, visto l’incendio che ancora divampava, se l’avessi fatto saremmo probabilmente esplosi per aria.

Decisi quindi di atterrare con 41 tonnellate di troppo. I passeggeri vedevano la nostra ombra sul mare, eravamo a 1200ft. e quelli seduti sul lato destro vedevano le fiamme che, uscendo dal motore, lambivano i piani di coda molti metri più indietro. Li sentivo urlare e probabilmente, se mi fossi trovato seduto al loro posto, avrei urlato anch’io. Invece avevo in mano i comandi, l’aereo rispondeva benone e dovevamo “solo” atterrare.

Visto il peso elevato, la velocità di avvicinamento era di 179 kts (a pesi normali è di circa 135). Ciò comportava l’impossibilità di estendere i flaps a 30; atterrammo quindi con flaps a 20. Il contatto avvenne normalmente e sganciai subito i freni automatici poiché la frenata manuale è più intensa. I freni, poverini, dovettero fermare 186 tonnellate lanciate a 330 km/ora e ce la fecero in 3 chilometri. Naturalmente dopo che ci fummo fermati le gomme, vista l’altissima temperatura dei freni, si sgonfiarono, ma ormai ce l’avevamo fatta.

Restava solo da evacuare i passeggeri, visto che l’incendio continuava e che a bordo c’erano oltre 60 tonnellate di kerosene. L’evacuazione avvenne correttamente e nessuno si fece male, a parte qualche graffio dovuto a ruzzoloni durante la fuga >>.

Per sentire le registrazioni audio originali dell’incidente, accedete al seguente link: 

Bursting into Flames Just Before Takeoff in Rome 

ed in versione completa qui: 

Air accident real voice recording and flight data 

Altre considerazioni riguardanti l’accaduto a quest’altro link: 

Collaborating with machines at high altitude and speed | Maurizio Guzzetti | TEDxModenaSalon 

<< Nel 2006 lasciai il posto da Capo Pilota in Blue Panorama per essere assunto in Air Italy quale Responsabile del Crew Training, sempre su B757/767. Venni inviato a Varsavia per oltre 2 anni, quale Direttore Operazioni Volo, per mettere su una Compagnia Aerea dipendente da Air Italy.

Nell’estate 2010 mi trasferii in DHL per volare sul B757 cargo e vi rimasi fino al 2013, quando entrai nel primissimo gruppo di Piloti sul B787, in Norwegian. Basato a Bangkok volai da istruttore ed esaminatore su questo nuovissimo aereo: Norwegian era stata la terza compagnia al mondo a riceverlo, dopo JAL e ANA.

L’esperienza fu entusiasmante e la macchina incredibile: lo stato dell’arte del trasporto aereo. 

All’inizio del 2017 mi fu chiesto di mettere su la base B787 di Norwegian a Barcellona e il 7 Luglio 2017 fui chiamato in Neos, a Malpensa, per dirigere l’ingresso in linea del B787, primo velivolo di questo tipo in Italia. Ritirai il primo a Seattle e, dopo i vari voli di collaudo (al seguente link:  Neos Boeing 787-9 Dreamliner ), lo portai in Italia il 13 Dicembre 2017. Il 19 Dicembre l’aereo fu presentato ufficialmente alla stampa a Verona, con l’intervento delle Frecce Tricolori. 

Da allora sono stato Capo Pilota della flotta B787 di Neos, che ora comprende ben 6 velivoli. Durante la pandemia Neos ha effettuato centinaia di voli cargo dalla Cina, trasportando tonnellate di materiale sanitario, respiratori ecc., e adesso speriamo di poter ricominciare al più presto a trasportare passeggeri felici di andare in vacanza! >>  

Gli altri capitoli della "strega" ai seguenti link:

Un sincero grazie a Maurizio per il tempo che c’ha concesso.

Gli auguriamo di poter proseguire questa brillante carriera, inseguendo altri importanti traguardi.

 

Testo Maurizio Guzzetti, Christian Vaccari

Photo by Maurizio Guzzetti, The Aviation